Designer italiano di caschi pluripremiato, Massimo Dante ci racconta il percorso dai kart alla F1, le collaborazioni con piloti come Leclerc, Giovinazzi e Albon e il segreto dietro i suoi design unici.
Se, guardando le gare di Formula 1 negli ultimi anni, siete stati attirati dal casco che sbuca dalla Williams di Alex Albon, beh, non siete gli unici. L’originalità, la vivacità e la creatività che accomunano i suoi disegni hanno un nome e un cognome: Massimo Dante. Designer di caschi italiano, classe 1989 come Valtteri Bottas, lavora a Rovereto ma esporta in tutto il mondo.
In passato ha collaborato anche con Charles Leclerc in Formula 2 e con Antonio Giovinazzi ai tempi dell’Alfa Romeo, mentre oggi il suo cliente di punta è proprio Albon. Ex pilota di kart, campione italiano di freccette e proprietario dal 2012 di Mad56, il suo laboratorio di verniciatura caschi, “Mamo” non è solo un designer: è un vero e proprio artista dei caschi, che mette nei suoi lavori una cura maniacale e un’espressività uniche nel suo ambito. In questa intervista esclusiva, siamo andati a scoprire tutto ciò che ruota intorno al suo mondo. Buon viaggio.
Correvi in go kart e hai anche vinto i campionati kz125 nel 2010: quando hai smesso di correre a livello agonistico e perché?
“Ho smesso di correre a metà stagione nel 2022 perché era diventato troppo stressante riuscire a conciliare le gare di kart a livello professionale con il lavoro sui caschi. Gestire entrambe le cose richiedeva tantissimo tempo ed energia, e a un certo punto ho capito che dovevo fare una scelta. Così ho deciso di dedicarmi completamente all’attività di verniciatura e design, che ormai stava crescendo sempre di più e mi dava grandi soddisfazioni”.
Per me i caschi sono davvero opere d’arte: devono raccontare una storia e far emergere la personalità del pilota – Massimo Dante
Come hai trasformato la tua passione per il design di caschi in un vero e proprio lavoro?
“Ho sempre disegnato fin da quando ero bambino. Ricordo ancora il primo giorno in cui mi sono innamorato dei caschi: ero andato a vedere una gara di go-kart con mio zio, e da quel momento ho iniziato a disegnare un sacco di caschi, prima su carta e poi, passo dopo passo, arrivando a lavorare su caschi veri e propri. Col tempo quella passione è diventata un lavoro vero e proprio”.
Come sei passato dalla provincia di Trento ad essere un brand internazionale che vende in più di 75 stati al mondo?
“È stato un percorso costruito passo dopo passo, con tanta passione e dedizione. All’inizio lavoravo nel mio garage di casa e, negli anni, sono riuscito a crearmi il mio laboratorio, ma avevo un’idea chiara: portare il design dei caschi a un livello diverso, perché per me i caschi sono delle vere e proprie opere d’arte. Con il tempo sono arrivati i primi piloti importanti, come Charles Leclerc nel 2017 in Formula 2 e Antonio Giovinazzi in Formula 1 nel 2020 e 2021, poi le collaborazioni internazionali e la diffusione sui social, che hanno fatto conoscere il mio lavoro in tutto il mondo. Oggi vendiamo in più di 75 paesi, ma lo spirito è rimasto lo stesso di allora: cura artigianale, attenzione ai dettagli e voglia di innovare ogni giorno”.
Come sei arrivato in contatto con Alex Albon?
“È un’amicizia nata ai tempi dei kart e da lì abbiamo iniziato a collaborare. Mi ha dato carta bianca e ho creato il suo disegno seguendo i colori della bandiera thailandese. Nel 2016 abbiamo vinto il premio per il migliore design in GP3: ho la coppa qui in laboratorio e sono molto orgoglioso. Che emozione il primo casco realizzato per il suo debutto in Toro Rosso, poi il passaggio in Red Bull e il lavoro frenetico per realizzare i nuovi caschi a tempo di record. Negli anni successivi abbiamo continuato a collaborare, seguendo ogni evoluzione della sua carriera, fino ad arrivare a oggi in Williams”.
Come spaziano i tuoi clienti: dalla F1 fino a dove?
“I miei clienti spaziano dalla Formula 1 fino ad arrivare ai piloti di kart e alle categorie giovanili, passando per tutte le categorie internazionali di auto. Lavoro con chiunque voglia un casco. È bello vedere come il design possa accompagnare un pilota dall’inizio della carriera fino ai livelli più alti; ogni progetto è sempre una sfida diversa”.
All’inizio lavoravo nel mio garage di casa, oggi i miei caschi arrivano in più di 75 paesi, ma lo spirito è rimasto lo stesso – Massimo Dante
Com’è il processo di design di un casco di F1? Quanto ci vuole?
“Il processo di design di un casco di F1 è abbastanza articolato: tutto parte dall’idea, poi passo ai bozzetti iniziali, alla scelta dei colori, delle grafiche e dei dettagli. Una volta approvato il concept si inizia a lavorare sul casco. Dal concept al casco finito di solito servono circa 15/20 ore di lavoro”.
Quanto pesa l’idea del pilota, la tua e i limiti dati dallo spazio per gli sponsor e le altre zone non personalizzabili del casco?
“Il casco è un equilibrio tra più elementi: l’idea del pilota, la mia visione e i vincoli tecnici o commerciali. L’input del pilota è fondamentale: deve sentirsi rappresentato e riconoscibile, perché alla fine è lui che lo indossa. Poi entra in gioco la mia parte creativa. Infine ci sono i limiti oggettivi: le aree destinate agli sponsor, le zone non personalizzabili per motivi pubblicitari. La sfida più grande è unire tutto questo”.
Quali sono punti in comune e differenze nel processo creativo per il casco di un pilota di kart e quello di un pilota F1?
“Il punto in comune principale è l’approccio creativo: in entrambi i casi parte tutto dall’idea del pilota e dal desiderio di raccontare qualcosa di personale attraverso il casco. Anche in kart come in Formula 1 cerco sempre di trasformare colori, simboli e passioni in un design riconoscibile e armonioso. La differenza più grande sta nei vincoli e nella complessità tecnica. Nei caschi di F1 bisogna rispettare soprattutto gli spazi limitati per sponsor, oltre a scadenze molto più serrate. Nei caschi da kart, invece, c’è più libertà creativa e spesso si può sperimentare con grafiche più audaci o insolite, perché il contesto è meno vincolato da regolamenti commerciali e tecnici. In pratica, la filosofia di base è la stessa, ma l’approccio operativo e i vincoli cambiano molto in base alla categoria”.
Guardando i tuoi caschi rispetto a quelli di altri designer, mi danno la sensazione di arte più “manuale” e meno digitale, mi sembri più artista e meno designer: secondo te qual è la caratteristica distintiva dei tuoi caschi?
“Per me i caschi sono davvero opere d’arte; il mio obiettivo è far sì che si percepisca la cura manuale in ogni dettaglio. Ogni linea, ogni sfumatura è pensata e applicata con le mani, non solo fatta al computer. Credo che la caratteristica distintiva dei miei caschi sia proprio questa combinazione di personalità, emozione e precisione: devono raccontare una storia, far emergere il pilota e, allo stesso tempo, sorprendere chi li guarda. Voglio che chi li vede senta che c’è qualcosa di unico e umano dietro ogni casco”.
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Qual è stato il casco più difficile da disegnare?
“Il casco più difficile da disegnare è stato sicuramente quello di Alessio Piccini [celebre pilota italiano di kart, ndr]. È un pilota super pignolo, molto attento a ogni minimo dettaglio e questo, da designer, può essere una bella sfida. Allo stesso tempo, per sua fortuna, ha un verniciatore incredibile che è riuscito a realizzarlo esattamente come lo voleva. Alla fine il risultato è stato perfetto, ma ci siamo davvero messi alla prova per arrivarci”.
Qual è il casco più bello che hai mai visto e quello che hai disegnato tu?
“Per me il casco più bello di sempre è quello di Michael Schumacher. È stato il primo casco che mi ha fatto innamorare di questo mondo, quello che ha acceso in me la passione per il design e per i dettagli che possono raccontare un pilota. Il casco più bello che ho disegnato io, invece, è quello di Alex Albon per il GP di Miami 2023. Mi piace tantissimo per il mix di colori, l’energia che trasmette e anche per la sfida che ha rappresentato: avevamo pochissimo tempo per realizzarlo, ma il risultato finale è stato davvero speciale. È uno di quei progetti in cui senti che tutto si è incastrato alla perfezione, nonostante la corsa contro il tempo”.
Rispetto al passato, quando il casco di un pilota poteva rimanere lo stesso anche per tutta la carriera, ora si vedono in F1 e non solo tanti caschi speciali ogni anno: cosa pensi di questo cambiamento?
“È un cambiamento che riflette molto l’evoluzione dello sport e della comunicazione: oggi il casco non è solo un elemento di sicurezza, ma anche un mezzo per raccontare storie, celebrare eventi o mostrare personalità. Prima un pilota poteva mantenere lo stesso design per anni, mentre ora ci sono caschi speciali per ogni Gran Premio o occasione particolare. Dal punto di vista creativo, è una sfida stimolante: ti spinge a reinventarti continuamente e a trovare nuove soluzioni, senza perdere l’identità del pilota. Allo stesso tempo, significa lavorare a ritmi più serrati e gestire tanti dettagli, ma la soddisfazione di vedere il casco completato e apprezzato rende tutto il lavoro molto gratificante”.
Foto: Atlassian Williams Racing, Massimo Dante (per gentile concessione)