INTERVISTA ESCLUSIVA - Noah Cooks: il bambino che a 10 anni ha conquistato la Formula 1

INTERVISTA ESCLUSIVA – Noah Cooks: il bambino che a 10 anni ha conquistato la Formula 1

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Scritto da Matteo Poletti

13 Dicembre 2025

Noah Cooks, il “baby giornalista” che ha stregato il paddock: “Vi racconto come sono entrato nel cuore delle leggende”

Si può essere veterani della Formula 1 a 10 anni? Noah Cooks, in un certo senso, lo è. Bambino con un’enorme passione per i motori, ha iniziato da qualche anno a creare contenuti sui social e in poco tempo, con le sue interviste ai personaggi più famosi del motorsport, è diventato l’esempio di come la determinazione non richieda un’età minima.

INTERVISTA ESCLUSIVA - Noah Cooks: il bambino che a 10 anni ha conquistato la Formula 1
INTERVISTA ESCLUSIVA – Noah Cooks: il bambino che a 10 anni ha conquistato la Formula 1

In questa intervista esclusiva, Noah ci racconta il suo incredibile viaggio dai disegni in cameretta ai paddock internazionali, mostrandosi come un caso unico al mondo e un esempio positivo per i social. Un creator capace di usare il digitale per fare cultura, riscoprire la storia e unire intere generazioni sotto la bandiera del motorsport.

Com’è nata la tua passione per la Formula 1 e, da lì, l’idea di iniziare a creare contenuti sul motorsport?

“La passione per la Formula 1 è nata spontaneamente durante il Gran Premio di Monza 2019. Ricordo benissimo che mio padre stava guardando la gara e io seguii gli ultimi 15 giri con un’attenzione incredibile. La vittoria di Leclerc mi ha folgorato, facendomi entrare nel mondo del motorsport. L’idea di creare contenuti è arrivata dopo: quando ero più piccolo il mio account Instagram era dedicato alla cucina (da qui il nome “Cooks”). Invece di aprirne uno nuovo, ho tenuto quello e ho aggiunto i video sulla Formula 1. Mi appassiona tantissimo raccontare la storia di questo sport o spiegare aspetti tecnici come la telemetria a chi non li conosce ancora bene”.

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Già da prima del progetto motori, con i tuoi contenuti di cucina eri diventato un bambino di cui si parlava online, finendo anche su testate come Wired: come hai vissuto quel primo “boom” e in cosa ti ha aiutato per il passaggio alla Formula 1?

“La cucina è stata fondamentale perché ha dato il via ai miei canali social. Mi ha aiutato molto a prendere confidenza con la telecamera: ricordo quando venne il TG2 a riprendermi mentre cucinavo. Fare video costantemente ti abitua al mezzo. Anche se cucina e Formula 1 non sono collegate direttamente, ci sono stati momenti speciali: Jody Scheckter, ad esempio, mi fece i complimenti per i miei piatti già all’epoca. Più recentemente ho unito i due mondi, preparando i piatti preferiti di Charles Leclerc e Andrea Stella”.

Quando hai pensato per la prima volta: “Voglio intervistare i personaggi della Formula 1”? C’è stato un momento preciso o è stato un percorso più graduale?

“È stato un percorso graduale. Circa un anno fa mi hanno regalato il libro “F1 Backstage” di Riccardo Patrese e mi hanno proposto di intervistarlo. È stata la mia prima intervista e mi sono divertito tantissimo, anche se all’inizio non pensavo che lo avrei fatto regolarmente. Mi hanno ispirato molto canali come “Motori Dimenticati“, che raccontano storie di piloti del passato meno noti, o Alberto Naska. Parlare con persone che hanno fatto la storia mi affascina molto, così come intervistare i talenti di oggi come Isack Hadjar e Liam Lawson”.

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Quanto tempo al giorno o alla settimana dedichi alla creazione dei tuoi contenuti, tra video, dirette e interviste?

“Dipende molto dai weekend di gara. Di solito i pronostici vanno in onda il giovedì sera o il venerdì prima delle prove libere. Non ho un calendario rigido, è una cosa spontanea: se mi viene un’idea per un video storico o di approfondimento, lo realizzo. Di recente mi sto concentrando meno sulla telemetria pura per dedicarmi di più alle live reaction e ai post-gara. È un impegno che varia in base a quello che mi appassiona in quel momento.

In cosa cambia la tua preparazione tra un contenuto post-gara e un’intervista più complessa? Hai un tuo rituale o un tuo metodo di studio che non salti mai?

“Cambia moltissimo. Un post-gara è molto spontaneo, specialmente nelle live: ho appena visto la corsa e so già cosa dire. Per un’intervista, invece, lo studio è fondamentale. Ricerco i dati e preparo le domande con attenzione: anche se poi ne aggiungo alcune al volo seguendo il discorso dell’intervistato, la base deve essere solida. Se intervisto piloti meno conosciuti o figure del passato, come Ignazio Giunti, devo fare molta ricerca per onorare la loro storia, anche se conosco già bene l’ambiente”.

INTERVISTA ESCLUSIVA - Noah Cooks: il bambino che a 10 anni ha conquistato la Formula 1
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Live reaction, caschi disegnati, post-gara, interviste… qual è il tuo format preferito e quello che ti diverte di più fare?

“Varia molto. Non sono dipendente dall’algoritmo: se esce una notizia su Hadjar in Red Bull, preferisco aspettare di avere informazioni concrete piuttosto che fare un video frettoloso. Devo dire, però, che mi diverte tantissimo costruire e disegnare i caschi. È un contenuto che porto avanti con costanza perché amo il design. Se Leclerc presenta un nuovo casco, mi trovo subito un paio d’ore per riprodurlo”.

Qual è la tua cosa preferita della Formula 1 di oggi e, se potessi, che cosa cambieresti invece del Circus?

La mia cosa preferita sono le qualifiche. È divertentissimo vedere quanto sono vicini oggi: a volte dal primo al ventesimo nel Q1 c’è meno di un secondo di distacco. Un tempo, come a Monaco nel ’92, Mansell faceva la pole con due secondi su Patrese. Cosa cambierei? Proprio a causa di questa vicinanza, i sorpassi sono diventati difficili. Con il DRS e le ali simili per tutti, si creano trenini infiniti dove chi sta dietro surriscalda gomme e motore in pochi giri. Spero che il nuovo regolamento aiuti a risolvere questo problema dell’aria sporca”.

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Chi è il tuo pilota preferito, passato o presente, e perché ti senti legato proprio a lui?

“Del passato scelgo Mario Andretti: l’ho intervistato ed è una persona simpaticissima, mi ha affascinato con i suoi racconti incredibili. Tra i piloti di oggi, il mio preferito è Leclerc. Come dicevo, Monza 2019 è stata la gara che mi ha fatto innamorare di questo sport e lui l’ha vinta. Mi piaceva molto anche Bottas, ma dopo il suo ritiro Leclerc è diventato il mio punto di riferimento, specialmente dopo il duello con Verstappen in Bahrain nel 2022″.

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Sei stato ospite di Stefano Domenicali a Londra, hai visitato la fabbrica dell’Aston Martin, hai passato un giorno nel box Racing Bulls e Valtteri Bottas ti ha voluto incontrare: qual è stata l’esperienza più bella per te e quella più inaspettata?

La più inaspettata è stata incontrare Bottas a Imola nel 2021: non sapevo nulla, è passato dopo le qualifiche e abbiamo fatto una foto: è un ricordo che terrò sempre con me. La più bella è stata l’esperienza nel box Racing Bulls: vedere da vicino piloti come Hadjar, Lawson e Lindblad è stato incredibile. Anche gli auguri di compleanno di Leclerc sono stati qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Sono tutte esperienze che mi hanno fatto appassionare ancora di più”.

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In quei momenti “da sogno”, riesci a vivere la situazione da fan oppure ormai ti senti più “addetto ai lavori”?

“Mi sento assolutamente un appassionato. Non mi vedo come un addetto ai lavori, ma come un fan molto fortunato che ha la possibilità di vivere queste esperienze incredibili”.

Isack Hadjar, Liam Lawson, Leonardo Fornaroli, Mario Andretti… tra tutte le interviste che hai fatto, qual è quella che ti è rimasta più nel cuore e perché?

L’intervista ad Andretti è stata la più bella, ma ricordo con affetto anche quella a Fornaroli per la vittoria in Formula 3. Con Lawson e Hadjar è stato divertente: a Liam ho regalato una cartolina di Chris Amon, mentre a Isack ho mostrato il mio volante di cartone e lui ha voluto sapere a cosa servissero tutti i tasti. Un’altra molto emozionante è stata quella a Jean Alesi, un mio sogno che si è avverato. Mi piace intervistare tutti, non solo piloti ma anche ingegneri e manager come Mario Miyakawa o Marco Fuga, perché mi appassiona l’intero ambiente della Formula 1.

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Come riesci ad entrare in contatto con questi personaggi: c’è sempre qualcuno che ti aiuta “dietro le quinte” oppure spesso sei tu a scrivere, proporre, insistere finché non si incastra tutto?

Le idee su chi intervistare sono sempre mie, scelgo le persone che mi incuriosiscono. Però il lavoro “dietro le quinte” lo fa mio papà. Entrare in contatto con certi personaggi, specialmente piloti del passato o loro familiari che non usano molto i social, è difficilissimo. Ad esempio, per contattare il cugino di Jim Clark abbiamo dovuto fare una ricerca davvero complessa”.

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Qual è stata finora l’intervista che ti ha messo più soggezione e perché? Cosa ti sei detto, dentro di te, per non farti bloccare dall’emozione davanti a un grande nome?

“Quella a Liam Lawson mi ha emozionato tantissimo. Ero ai box per i test e all’improvviso mi hanno chiesto se volessi intervistarlo: ero ansioso ma ho accettato subito. Anche l’intervista a Giancarlo Minardi è stata forte, c’era tantissima gente intorno a noi e pensare alla sua storia come fondatore del team mi metteva soggezione. Lo stesso è valso per Roberto Moreno al Minardi Day: c’era una fila lunghissima per lui, ma è stato gentilissimo e i suoi racconti sono stati spettacolari”.

Cosa ti colpisce di più quando parli con piloti di un’altra epoca come Scheckter, Patrese o Morbidelli? In cosa senti che la loro Formula 1 è diversa da quella che guardi e racconti oggi?

“Mi affascina il loro spirito da veri “racer”. Raccontano una Formula 1 molto pericolosa, dove sapevi che potevi morire in macchina, ma non avevano paura. Morbidelli mi faceva notare che oggi fermano le gare per troppa pioggia, mentre ai suoi tempi si correva comunque, come ad Adelaide ’91. Sono molto simpatici e amano parlare del passato: Scheckter scherzava con me quando gli ricordavo la stagione del 1980, chiedendomi perché non gli chiedessi del ’79 quando aveva vinto il mondiale!”.

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Ti capita mai, dopo queste chiacchierate, di guardare i GP storici o di cambiare idea su qualche pilota o team del passato?

È difficile recuperare le vecchie gare oggi perché sui canali ufficiali mostrano solo l’attualità. Per un ragazzo della mia età che non ha i DVD è complicato, ma cerco di rimediare con i documentari. Quello su Ignazio Giunti, ad esempio, mi ha fatto emozionare tantissimo pur non avendolo mai visto correre dal vivo. Queste storie mi aiutano ad apprezzare piloti che oggi, purtroppo, vengono dimenticati”.

Molti adulti dicono che il tuo progetto è un modo per “educare attraverso la passione per la Formula 1”: tu che cosa pensi di insegnare ai ragazzi che ti guardano e ti seguono?

Cerco di insegnare la creatività. Invece di comprare sempre tutto già pronto, puoi creare i tuoi giochi a casa, magari unendo due fogli di carta e ritagliando le sagome. In un mondo dove tutti sono sempre al telefono, essere creativi è importante. Molti ragazzi mi mandano foto dei loro volanti di cartone o dei circuiti che costruiscono sui tappeti per giocare con le macchinine. Questo mi rende davvero fiero”.

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Come gestisci la fama dei social alla tua età e in che modo è cambiata la tua vita quotidiana, tra scuola, amici e tempo libero?

Per me la vita quotidiana non è cambiata affatto. Scuola e amici sono gli stessi di prima. L’unica differenza è che quando vado in circuito capita che qualcuno mi chieda un autografo o una foto, ma non è una cosa che mi pesa. Non lo vivo come un lavoro o una perdita di tempo, lo faccio perché mi diverte e solo quando ne ho voglia.

Quali libri, film o canali social consiglieresti a chi vuole avvicinarsi alla Formula 1, a qualsiasi età?

“Come canali social consiglio Alberto Naska, “Motori Dimenticati” per la storia e canali inglesi come “P1 with Matt & Tommy“, mentre per le news italiane seguo “Race Day F1“. Per quanto riguarda i libri, suggerisco assolutamente quelli di Umberto Zapelloni e Leo Turrini: sono scrittori e giornalisti incredibili che ho avuto anche il piacere di intervistare sul mio canale”.

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Se potessi scegliere tre persone da intervistare nei prossimi anni, anche fuori dalla Formula 1, chi sarebbero e perché proprio loro?

“Tra i piloti del passato mi sarebbe piaciuto tantissimo intervistare Michele Alboreto: era un pilota Ferrari milanese e sembrava una persona molto simpatica. Poi Nelson Piquet, perché è un personaggio unico che faceva sempre scherzi. Se qualcuno lo conosce, mi aiuti a contattarlo! Infine mi piacerebbe intervistare Luca Cordero di Montezemolo e Toto Wolff. A Toto ho già dato il mio vecchio libro di cucina per suo figlio, quindi spero di riuscire a parlarci presto”.

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Matteo Poletti

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