La storia della F1 è stata segnata da team che hanno cercato di lasciare il segno senza successo e la HRT è una delle più famose in questa “speciale” classifica
Tra poco budget, necessità della FIA e tanta voglia di lasciare un segno nella storia: questo il racconto della Hispania Racing Team, meglio nota semplicemente come HRT, una squadra che non è mai riuscita a sbocciare definitivamente e, dopo la sua fondazione nel 2010, è stata costretta a chiudere i battenti solo nel 2012.
La storia della F1 è costellata da moltissimi team che hanno tentato il “sogno F1” senza un effettivo successo ed uno dei più recenti è proprio quello della HRT.
Quando la Formula 1 aprì le porte a nuovi team nel 2010, la promessa era quella di una rivoluzione: budget più bassi, una regolamentazione che avrebbe livellato il distacco tra le “big storiche” e la possibilità, finalmente, di vedere realtà minori competere con i giganti del Circus. In questo particolare contesto per quanto riguarda la storia della F1, nacquero la Lotus, la Virgin/Marussia (la cui storia è analoga a quella della del team qui raccontato) e soprattutto la HRT – Hispania Racing Team, una delle storie più affascinanti e tormentate della Formula 1 contemporanea. Quell’anno la figura di questo team aveva una connotazione affascinante e storica, in quanto era il primo team spagnolo nella storia della categoria regina.
Promesse troppo elevate per un team troppo piccolo
Le radici della HRT si fondano su una figura principale, quella di Adrián Campos, ex pilota di F1. Adrián era riuscito a trovare l’accordo con la F1 e la FIA per entrare in F1, chiamando il team Campos Racing, ma gli mancava una sede produttiva. L’accordo venne trovato in Murcia, regione al sud della Spagna, ma il progetto era molto in ritardo. Già dai mesi precedenti all’avvio del mondiale emersero problemi finanziari gravissimi. Campos, pur avendo costruito parte della struttura tecnica, non riuscì a garantire i fondi necessari per presentarsi al via. A poche settimane dal primo Gran Premio, il fallimento sembrava inevitabile. Così sembrava…
Prima ancora della prima gara, dunque, il team aveva bisogno di un cambio di faccia: proprio in quel momento arriva un aiuto fondamentale, quello di José Ramón Carabante, imprenditore spagnolo che acquisì la proprietà del team e lo ribattezzò Hispania Racing Team. Un problema persisteva: mancavano 50 giorni all’inizio della stagione in Bahrain e sì, la squadra era stata salvata, ma da quel momento serviva una corsa contro il tempo.
Senna, Chandhok e Dallara: tre elementi cardine di questo inizio
Uno dei debutti più travagliati nella storia di questo sport, quello della HRT. La monoposto, la Dallara F110, era stata progettata dal costruttore italiano con mezzi e budget ridotti e senza un vero sviluppo aerodinamico. E incredibilmente, la F110 non aveva mai girato in pista. HRT è stato l’unico team negli ultimi trent’anni a presentarsi alla prima gara senza aver effettuato un singolo giro di test.
Anche la scelta dei piloti aveva fatto clamore: il primo Bruno Senna, nipote del grande Ayrton e il secondo Karun Chandhok, indiano che ha corso per due anni in F1, entrambi nella stagione da rookie. I piloti si trovarono a gestire una macchina praticamente sconosciuta e mai guidata. Al Bahrain, le vetture vennero completate nel paddock, con i meccanici che assemblavano pezzi fino a poche ore dalle prove libere. Nonostante ciò, entrambe le auto riuscirono quantomeno a scendere in pista: un primo “successo”.
Il primo anno è un vero e proprio disastro: in qualifica la HRT pagava addirittura dai 4 ai 6 secondi alle squadre di fondo e gli aggiornamenti erano rari e pochi efficaci. Paradossalmente, la Dallara F110 non si rompeva spesso, perciò il numero di ritiri era ridotto rispetto alla Marussia, “record” che ha permesso al team spagnolo davanti ai rivali.
Il tentativo di rinascita del 2011 e l’apice del 2012
Nel 2011 HRT decise di separarsi da Dallara e di avviare uno sviluppo interno della nuova vettura, la F111. Una mossa audace, che simboleggia il tentativo di imporre un’identità a questa scuderia. Il design venne affidato a ingegneri di spessore come Geoff Willis, ex BAR e Red Bull, ma con budget troppo ridotti per competere veramente. Si trattava di un tentativo di sopravvivenza tecnica. In pista, i risultati migliorarono leggermente, ma la squadra rimase stabilmente nelle ultime due file dello schieramento.
La più grande nota positiva di quel 2011 è la presenza di Daniel Ricciardo nel team, pilota Red Bull che si lanciava nel più grande palcoscenico motoristico del mondo con il team spagnolo.
Il 2012 rappresenta croce e delizia per il team. Per l’HRT l’apice delle prestazioni avviene proprio in quella stagione, ma è anche la fine di questo speciale viaggio. La F112, la nuova vettura, era più agile e leggera e nonostante non potesse sognarsi la zona punti, battagliava costantemente con la Marussia. Con una line-up formata da Pedro de la Rosa e Narain Karthikeyan, HRT sembrava finalmente aver imboccato una strada tecnica più solida.
La situazione economica, però, restava drammatica. Il team passò nelle mani di Thesan Capital, gruppo di investitori che però non intendeva sostenere perdite a lungo termine. Proprio per questo motivo a fine 2012 il team decise di chiudere i battenti.
La storia di un team simbolico
Oggi HRT non è ricordata di certo per i risultati (zero punti in tre anni), ma per ciò che rappresentava: un tentativo romantico e disperato di sfidare un mondo sempre più dominato da budget miliardari. I meccanici hanno cercato per anni di sistemare una vettura a cui mancavano le radici, cercando in qualsiasi modo di raggiungere un livello accettabile nonostante i pochissimi soldi e le infrastrutture non al livello dei competitor.
Foto: F1, Wikipedia.com