Dieci anni da Suzuka 2014: l’ultimo Gran Premio di Jules Bianchi

di Stefano Zambroni

Sono passati dieci anni dal Gran Premio di Suzuka 2014: l’incidente di Jules Bianchi e la lunga agonia

In Italia è mattina presto.
Fa fresco, l’autunno sta arrivando e in una domenica d’ottobre la Formula 1 corre a Suzuka, sotto un’acquazzone che rende difficile la visibilità ai piloti.
Dalla prima casella scatta Nico Rosberg, e nonostante la partenza sotto Safety Car c’è chi, come Ericcson, va in testacoda.
Bandiera rossa, condizioni troppo complicate.

Dieci anni da Suzuka 2014: l'ultimo Gran Premio di Jules Bianchi
Dieci anni da Suzuka 2014: l’ultimo Gran Premio di Jules Bianchi

La gara riparte, soltanto dopo dieci giri davanti alla vettura di sicurezza: il tracciato insidioso e la forte pioggia porta diversi piloti a sbagliare, tra i quali Adrian Sutil al giro 43.
Al giro 44 un lungo di Bianchi, proprio dove era entrato il telescopico. Lì, nello stesso punto del giro prima.
La frenata, l’impatto, il boato, il silenzio.

La regia internazionale non sa dove inquadrare, filma il mezzo di sicurezza indicando “Bianchi”, ma di Jules pare non esserci nemmeno l’ombra. Pare soltanto però, perché in realtà Jules è lì, dietro al mezzo giallo.
Bandiera rossa, l’ultima.

Jules, l’ultimo attimo di vita

Poi la corsa all’ospedale di Yokkaichi, il gelo nel paddock.
Gelo che dura per altri nove mesi: Jules non riprenderà mai più conoscenza.
L’ultimo, flebile ricordo è quello di un Gran Premio corso in condizioni difficili, controverse, prima di un buio che oggi “compie” dieci anni.

Charles Leclerc, dopo la vittoria a Monaco dedicata al padre e a Bianchi
Charles Leclerc, dopo la vittoria a Monaco dedicata al padre e a Bianchi

Dieci anni nei quali un ragazzo di Montecarlo, vestito di Rosso e dal numero 16, sta cercando di portare con sè in ogni successo il suo migliore amico, nell’attesa che il suo sogno più grande s’avveri.
Il sogno di Jules, invece, si è interrotto dieci anni fa esatti, lasciando un enorme vuoto che ancora oggi fa sentire la mancanza di due occhi così buoni in uno sport così crudele.

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