F1

Caso T-Tray, è scandalo? Red Bull e FIA sugli scudi

Nella giornata di ieri è emerso il “caso T-Tray” che riguarderebbe Red Bull, accusata di modificare il fondo in parco chiuso. E intanto la FIA?

Il weekend del GP degli Stati Uniti si è decisamente aperto in modo bollente. Nella giornata di ieri, due notizie a dir poco sensazionali scaldano gli animi del circus (e dei fan): dall’eliminazione del punto addizionale del giro veloce alla notizia boom della notte, il caso T-Tray, la F1 si prepara a vivere un fine settimana ad alta tensione fuori dalla pista. Come riportato inizialmente dal quotidiano “De Telegraf”, nella notte sarebbe scoppiato un caso piuttosto allarmante nel paddock: è stata infatti confermata l’indiscrezione della mattinata antecedente, la quale constatava che un team potenzialmente avesse violato il regime del parco chiuso, apportando modifiche al proprio fondo, toccando l’elemento del T-Tray. Indiscrezione confermata.

Red Bull protagonista del caso T-Tray nella notte: il team avrebbe modificato questo particolare elemento del fondo, ma in regime di parco chiuso

E sempre nella notte di ieri, è emerso il nome di Red Bull: il team austriaco, che inizialmente aveva assolutamente respinto ogni accusa, ha in seguito ammesso le proprie colpe, confermando però di aver già trovato “un accordo” con il massimo organo della pista, FIA. La scuderia guidata da Christian Horner, con un nuovo look texano, avrebbe “toccato” il sistema del T-Tray, un dispositivo che, se modificato, sarebbe in grado di modificare parzialmente il set-up della monoposto. Tutto giusto se non fosse proprio che tutte queste manovre avvenissero in regime di “parc fermé” (parco chiuso), ossia tra le sessioni di qualifica e gara, ove da regolamento è assolutamente proibito apportare cambi all’assetto.

Il sistema del T-Tray, tradotto in italiano come “vassoio” proprio per la sua forma, è un elemento cruciale del fondo, che permetteva a Red Bull di (modificare) regolare l’altezza da terra all’attacco del fondo centrale. Come è però sbucato il nome di Red Bull? I tori di Milton Keynes, sono stati accusati ufficialmente da McLaren, specialmente attraverso i due piloti, Piastri e Norris, i quali non si sono risparmiati nell’attacco ai propri rivali, specialmente se poi in ballo c’è un Mondiale piloti e Costruttori ancora da assegnare. Preoccupante è stato pertanto il dietrofront di Red Bull: da iniziale diniego della faccenda a stipulare un “accordo con la FIA” (ovviamente sconosciuto al momento), che lascia indubbiamente scettico tutto il paddock.

McLaren all’attacco e le “scuse” di Red Bull

Come detto, ad andare ad attaccare duramente Red Bull è stata McLaren, con Zak Brown e i suoi a bersagliare il team di Horner, attraverso le dichiarazioni dei suoi due piloti. Lando Norris ha infatti palesemente constatato il proprio disappunto in conferenza stampa: “Un conto è avere questo dispositivo in macchina, un altro è capire quanto ti aiuta e quanto lo usi, e di questo non abbiamo alcuna idea. Se ne hanno tratto vantaggio, allora la cosa andrà in nostro favore… ma dobbiamo capire in realtà quanto li ha aiutati. “

Il caso T-Tray scuote il paddock, e McLaren con i piloti attacca Red Bull. In foto Norris, Piastri e Verstappen, sul podio a Singapore

Non posso dire quante pole position o vittorie abbiano conquistato grazie a questo, e forse non cambierà niente. Però se guardo ad alcune qualifiche, quando i distacchi erano di pochi millesimi, è ovvio che il sospetto c’è. Ed è un bene che la FIA intervenga: c’è una differenza tra lo sfruttare questa zona grigia e il voler invece creare ed innovare restando nei limiti. Credo che la McLaren rientri in questa categoria: ci assicuriamo sempre di non andare oltre”.

A supportare la tesi di Norris, il compagno Oscar Piastri: “Ovviamente tutti stiamo superando i limiti del regolamento tecnico. È questo aspetto che caratterizza da sempre la F1. Da quello che ho sentito, però, una cosa del genere non sta superando i limiti… li sta chiaramente infrangendo. Se è stato usato, è chiaro che chi l’ha fatto non ha superato i limiti ma è uscito dalla zona grigia per entrare in una zona nera. Il nostro mini DRS era legale, anche se abbiamo dovuto apportare alcune modifiche, non era rivoluzionario per la vettura. Vedremo se questa cosa avrà un impatto“.

Pronta dunque la difesa di Red Bull, messa alle corde da Woking: “Il sistema esiste, anche se è inaccessibile una volta che la vettura è completamente assemblata e pronta a correre. Nei numerosi scambi mail avuti con la FIA è emersa questa parte ed è stato concordato un piano da qui in avanti”. Un dietrofront che ha scatenato e che scatenerà infinite polemiche da qui in avanti, con un weekend tutto da vivere.

Foto: Oracle Red Bull Racing, McLaren

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