Una storia da ripescare negli annali di MotoGP, quella di Renzo Pasolini. Una storia che narra di una MotoGP ancora precaria in fatto di sicurezza.
“Alle 15:17 del 20 maggio 1973, al Curvone di Monza il motociclismo vive una delle sue pagine più nere. Perdono la vita Pasolini e Saarinen. Ma quello che succede prima e dopo il tremendo incidente è un insieme di fatti e circostanze che le competizioni delle moto non devono più vivere”: sono alcune delle parole del libro “Paso. Renzo Pasolini, re senza corona” di Arturo Rizzoli, edito Minerva.
La storia di Renzo Pasolini
Renzo Pasolini nasce a Rimini nel 1938. Grazie al papà motociclista si appassiona fin da piccolo alle moto, iniziando a correre in motocross verso i 20 anni. La leva militare obbligatoria lo allontana dalla pista per 2 anni; ritorna a gareggiare nel 1964 nelle categorie 250 e 350 in sella a un’Aermacchi. La svolta per Pasolini arriva nel 1967, anno in cui all’interno del motomondiale inizia la “relazione” tra il Paso e Benelli che durerà ben 4 lunghi anni. Questa nuova moto, decisamente più competitiva della precedente, dà il via alla famosissima rivalità motociclistica tra Pasolini e il 15 volte campione del mondo, Giacomo Agostini.
Nel ’71 Renzo Pasolini tona a correre con l’Aermacchi, che nel frattempo si è unita alla Harley-Davidson. Il ’72 è un anno particolarmente positivo per il pilota di Rimini, il quale si classifica secondo nella categoria 250 e terzo in quella dei 350. Il 20 maggio 1973 a Monza, però, accadde il fatale incidente. Pasolini ebbe molte soddisfazioni in pista, ma non vinse mai un titolo mondiale, da cui il soprannome “Il re senza corona”.
20 maggio 1973: il giorno tremendo
Ore 15:15, gara classe 250. Si abbassa la bandiera a scacchi che dà il via al GP delle Nazioni di Monza: le moto sfrecciano per 700 metri di rettilineo, toccando i 200km/h poco prima del curvone. Il gruppo è compatto e gli spettatori attendono solo di scoprire chi sarà il pilota più veloce a uscire dalle tre curve, ma tutto a un tratto le balle di paglia poste a protezione del guard-rail prendono fuoco: Renzo Paolini ha perso aderenza e si è schiantato con la moto contro le barriere, perdendo sella e serbatoio.
La moto del riminese torna in pista, colpendo in pieno Jarno Saarinen; per il fillandese, come anche per Pasolini, non ci sarà via di scampo. Saarinen nell’impatto cade dalla propria moto e i piloti che sopraggiungono dietro di lui non riescono ad evitarlo. Una vera e propria carambola stende a terra più di 10 piloti, che rimangono feriti.
Le cause del fatidico incidente sono molteplici: si parla di cattive condizioni dell’asfalto, di olio in pista non pulito dopo dopo un incidente della gara classe 350 avvenuta poco prima, del grip della moto dello stesso Pasolini… quello che è certo è che disgrazie del genere non possono e non devono accadere perché, prima di essere piloti, Renzo e Jarno erano uomini con le loro storie e con le loro fragilità.
Una curiosità che in pochi sanno è che, quello stesso pomeriggio, Renzo Pasolini ha preso parte anche alla gara della classe 350. Una vera e propria sfida tra il Paso e Agostini. Il pilota romagnolo ha dimostrato in quel frangente tutta la potenza della propria motocicletta; dopo una brutta partenza, che l’ha fatto scendere in 15esima posizione, Pasolini rimonta fino a mettersi in testa al gruppo e facendo registrare il giro più veloce della gara. Il pilota tuttavia non riesce a tagliare il traguardo a causa di un ritiro dovuto a un dritto alla parabolica.
Il ricordo di Pasolini
In occasione dei 50 anni dalla scomparsa di Renzo Pasolini, il Corriere della Sera ha intervistato la moglie e il figlio del pilota. Queste sono alcune delle parole usate per tenere vivo il ricordo di un grande uomo e di un grande motociclista.
Anna Maria: “Dopo una caduta a Jerez gli dissi: “Non ti spaventi quando vai per terra? Adesso hai anche una famiglia…”. Mi rispose in questo modo: “Se avessi paura, non correrei”. Non glielo chiesi più: era inutile”.
Stefano Renzo, invece, sull’indossare il cognome del padre: “L’emozione più forte l’ho provata in una edizione della Targa Florio: sono salito su una Harley Davidson 750 usata da papà. Sono sempre a caccia di aneddoti, di racconti, di curiosità. Portare il suo cognome è una bella responsabilità e all’inizio un po’ pesava, in particolare in occasione delle rievocazioni storiche”.
E del rapporto con Agostini? Beh, non è come sembra: “La rivalità con Agostini? Solo in pista. Prima e dopo le corse scherzavano, ridevano e condividevano vari momenti. Sì, era un motociclismo molto genuino”, conclude Anna Maria.
FOTO: Pinterest