Dalla spettacolarizzazione della Formula 1 alle emozioni del motorsport, passando per l’eredità lasciata da Ayrton Senna: l’intervista esclusiva di GPKingdom a Giorgio Terruzzi.
Siamo alla vigilia del Gran Premio di Imola, la pista affacciata sul Santerno dove si sono scritte alcune delle pagine più intense e drammatiche del motorsport italiano. Un luogo che, dopo quest’ultimo weekend, rischia di salutare per sempre la Formula 1, tra ricordi indelebili e nuove direzioni dettate dal business. Qui, Giorgio Terruzzi – voce autorevole del giornalismo sportivo – si racconta in esclusiva a GPKingdom tra gli insegnamenti di Senna, il futuro del categoria regina e storie che non smettono di emozionare.
Siamo nella settimana del Gran Premio di Imola, cosa rappresenta per lei l’appuntamento su questa pista, anche pensando che potrebbe essere l’ultima edizione?
“Beh, è un luogo di memoria molto importante. Intanto, la Romagna vuol dire motori da sempre. Poi, la pista intitolata a Enzo Ferrari e a suo figlio Dino che è stato Enzo Ferrari a volerla, sostanzialmente, insieme al papà del Dottor Costa, Checco Costa. È una pista che ha, paradossalmente, più tradizione motociclistica, però i capitoli automobilistici sono stati molto importanti. Intanto, è avvenuto lì il weekend più drammatico della storia della Formula 1 — almeno quello di cui ho traccia io — quello del ’94: con l’incidente gravissimo di Barrichello al venerdì, la morte di Ratzenberger il sabato, un incidente gravissimo al via della domenica, la morte di Senna, e un altro incidente, durante la corsa, con dei meccanici investiti da una ruota vagante…Insomma, è stata poi la pista dove Schumacher ha vinto nel giorno in cui è morta sua mamma. Un posto caro, in un luogo che era gradevolissimo, con quelle colline dolci di Riolo lì attorno alla pista, dove era bello stare anche per noi che seguiamo i Gran Premi. Quindi, è stato un Gran Premio di casa — dico “casa” tra virgolette, perché casa è Monza per gli italiani, per me in particolare; per la storia, però, un luogo pieno di memorie, di incontri, di aneddoti, di corse memorabili. Mi viene in mente la corsa vinta da Tambay, con Patrese che era in testa e uscì alle Acque Minerali, fischiato; il debutto di Johansson con la Ferrari, che stava per vincere la corsa… Insomma, un luogo pieno di memoria“.

Una sorte pre-annunciata?
“Dubito che possano andare avanti, un po’ per motivi economici, un po’ anche logistici, perché questa qui è una pista dentro la città e, ormai, la Formula 1, che è gestita e trattata come un evento faraonico, fa un po’ fatica. Gli accessi sono un po’ complessi, cioè non ci sono, così come il famoso muro del Tamburello: hanno dovuto fare una chicane perché c’è un fiume e non potevano spostarlo. E poi, economicamente, ci sono troppi luoghi con più soldi. E la storia del mondo — di questo mondo, no? È un mondo che è dominato dal denaro, con una forbice enorme, no? Pochi molto ricchi e tanti con niente. Però, i pochi molto ricchi sono comunque in grado di fare delle offerte, anche in paesi dove la Formula 1 non è ancora andata, che muoverebbero a loro volta dei denari. Insomma, la vedo un po’ grigia sul futuro di Imola“.
Come diceva lei, stiamo andando verso una Formula 1 sempre più spettacolarizzata, optando per la rotazione di alcuni circuiti storici come Spa, Zandvooort e la permanenza di altri più moderni come Miami che rimarrà fino al 2041. Come vede questa trasformazione?
“È quello che dicevamo prima: penso che alcune piste non resteranno. Penso che Spa resti, che Monza resti, che Silverstone resti… cioè, che alcuni luoghi sacri rimangano, anche perché sono connessi a paesi di grande tradizione, di grande passione — e il resto va di conseguenza. Questo tema qui è connesso al fatto che, ormai, i Gran Premi non sono più luoghi frequentati semplicemente dagli appassionati: ci va gente che fa affari, gente che utilizza questo evento per fare pubbliche relazioni. Quindi, penso che crescerà il numero di Gran Premi in luoghi senza tradizione, ma interessati ad accogliere un evento così“.
Il rapporto con Ayrton Senna
Lei ha passato molti momenti insieme ad Ayrton Senna, lo dicevamo anche prima e ha raccontato molte volte le sue ombre. Ha anche definito in una precedente intervista un “capitolo due” tra di voi. Non l’ha mai definito amico, ma un rapporto che andava oltre il lavoro, ma che era un po’ un limbo no?
“No, io non parlo di amicizia per correttezza, perché sento un sacco di gente che parla di Senna come se vivesse con lui, ma non l’ha mai visto né conosciuto. C’è una speculazione enorme. Io penso che gli amici siano quelli con cui cresci, con cui vivi, vai in vacanza, stai insieme, vai in campeggio, vai al mare, cresci. Senna, come dire, rispetto alla consuetudine dei rapporti che hai coi piloti, è stato per me un caso anomalo, per una serie di ragioni personali. Perché un mio amico carissimo, proprio il mio amico del cuore, vive in Brasile da quarant’anni. Sono andato lì, il suo primo anno di Formula 1, e Senna era tornato a casa, a San Paolo. Lo chiamai dicendogli che ero in Brasile, e mi invitò a casa sua. Ho imparato il portoghese a furia di stare con questo mio amico. Ho lavorato tanto con un fotografo brasiliano molto bravo, che è morto l’anno scorso, e che lui conosceva. Insomma, ci sono stati una serie di avvenimenti per cui avevamo un rapporto anche al di fuori del lavoro, dove lui faceva Senna e io facevo il giornalista. Quindi, è stato un incontro indimenticabile, perché era un uomo fuori dalla media, proprio in termini di capacità di coltivare e comunicare le proprie emozioni. Era un uomo con una spiritualità fortissima, una sensibilità profonda, con un pensiero costante rivolto a chi non aveva avuto — o non ha — le opportunità per poter realizzare i propri sogni. Era un uomo coinvolto nella vita“.
“Poi, c’è da dire una cosa: Senna era mio coetaneo. Cioè, cambia. Io ho cominciato a fare il giornalista con piloti che erano più grandi di me: eri un pischello, non ti cagava nessuno, no? All’inizio è così. Poi è arrivata una generazione che era della mia età, e quindi era più semplice, più facile condividere qualcosa che andava un po’ oltre. E con Senna è successo. Poi ero lì quando è morto. Insomma, molta roba. Roba che non dimentichi. Perché lui era Senna: una bestia da pista, un’ira di Dio. Però era anche un uomo che aveva un’anima esposta, pronta. E quindi non ti dimentichi di uno così. Se poi hai avuto la possibilità di parlargli davvero, più volte, diventa un incontro indimenticabile“.
C’è un insegnamento che ha imparato da lui e che vorrebbe condividere con noi?
“C’è quella parola lì: opportunità. L’opportunità va onorata — lo dico sempre alle mie figlie. Non tutti possono decidere cosa mangiare, dove andare in vacanza, cosa studiare… e quando succede, quando ti capita, bisogna che l’impegno sia molto alto, per onorarla, quell’opportunità. C’è un periodo della vita in cui non ti va di fare niente. E poi c’è un periodo finale in cui ti sei proprio rotto le balle di fare. Ma in mezzo… tocca, se hai l’opportunità di cogliere un vantaggio, un’occasione, una passione però, non basta. Devi farti un po’ il mazzo. Questa cosa, Senna ce l’aveva proprio in testa ed è una cosa che io ho in testa. Il lavoro va onorato, se hai un’opportunità. Se invece devi lavorare in fabbrica e non volevi fare quel lavoro lì, è diverso, ma se volevi fare il pilota, il giornalista, l’artista, il falegname — qualunque cosa — e sei riuscito a farla, impegnati. Cioè, non è che va bene tutto, no? Devi onorarlo. Questa è una cosa importante, secondo me“.
Nelle vene di Ayrton scorreva del sangue siciliano da parte paterna con i suoi trisavoli che emigrarono in Brasile. Parlava mai di questo suo legame con il Sud Italia o è una speculazione su cui hanno costruito sopra?
“Totale. Non ho mai sentito parlare di questa cosa. Su Senna sono nate speculazioni di ogni tipo. C’è un’esagerazione incredibile su quell’uomo lì — tanto è morto, no? Cioè, io potrei raccontare che eravamo qui a pescare due giorni alla settimana… ma poi non è così, no? Quindi, della sicilianità penso che forse ne avesse un vago sentore, ma non ne ha mai parlato lui“.
Raccontare storie al giorno d’oggi
Cosa crede serva oggi ad un pilota per diventare davvero ‘mito’ al di là delle statistiche?
“Vincere conta. Se non vinci niente, è difficile. Comunicare in modo originale e autentico — cosa che succede rarissimamente — è ancora più difficile. Quando poi senti dire che i piloti sono eroi, e poi li senti lamentarsi continuamente via radio, denunciando quello che davanti a loro è andato fuori pista… beh, gli eroi sono un’altra roba. Manca un po’ di personalità, di emotività, di sincerità. Di autenticità, no? Sono iperprotetti, per cui risultano un po’ difficili. Paradossalmente, è più personaggio Verstappen, perché s’incavola almeno! Butta fuori più roba lui, quasi, no? Anche in modo antipatico, certo, però, in qualche modo, è più autentico di altri. Adesso sono tutti un po’ troppo trattenuti; invece, devi essere un personaggio, cioè devi avere personalità, devi comunicarla. “Questo non mi piace” si può dire una volta. Cioè, se tu guardi i personaggi veri della storia — e non solo sportiva, non solo motoristica — sono tutte persone dotate di una personalità esondante, no? Perché parliamo ancora di Maradona, con tutti i difetti che aveva? Perché vinceva, perché era un fenomeno, perché era uno che buttava fuori tutto: il buono e il cattivo, no? Valentino (Rossi, ndr) è uno che ha fatto delle cose anche dopo le corse. Adesso lo invitano tutti, ma è lui che ha tirato dentro al motociclismo milioni di persone che col motociclismo non c’entravano nulla. Mia mamma, che non gliene è mai fregato una mazza delle moto, dice: “Ma come sta il Vale?”. Schumacher è un altro. Vinceva tanto, ma aveva una capacità di leadership e anche di commuoversi. Alla fine, è venuta fuori anche questa sua parte straordinaria, no?“
“Alonso. Perché è così popolare Alonso? Ha fatto una lunghissima carriera, ma è uno che, in qualche modo, buttava un pugno sul tavolo. Ogni tanto lo sbatteva. Ecco, questi qui sono i personaggi. Tutti si ricordano Alesi. Ha vinto una corsa, però era uno che mandava a fan**** tutti, no?“
Se dovesse immaginare una storia che ancora non ho avuto l’occasione di raccontare, quale sarebbe?
“Moltissime storie. Io tutti i mesi scrivo per il giornale della Caritas, anche se non sono credente, che si chiama Scarp de’ tenis, in omaggio a Jannacci. Sono appassionatissimo di storie, per cui io cerco storie, ne trovo un sacco. L’ultima che ho trovato è la storia della moglie di Nabokov, lo scrittore. Insomma, ce ne sono tantissime. A me piace l’umanità, mi commuove. Ci sono un sacco di persone che ogni giorno si danno da fare per gli altri, nel silenzio, nell’anonimato più assoluto, e hanno delle storie meravigliose. Le persone anziane, per esempio, che hanno attraversato guai, fatiche, senza metterla giù dura, a differenza di questo tempo in cui, se succede una stupidata, la racconti a tutti per due anni, mentre c’è gente a cui sono successe cose tremende e non dice niente, va avanti e fa“.
“Per cui ci sono un sacco di storie bellissime attorno a noi, tutti i giorni, basta dare un’occhiata. Consiglio, anche a chi sta a Palermo, di guardare le lapidi, le targhe sulle case: spesso, dietro ogni targa, c’è una storia che ti fa dire “ma questo qui chi era, cosa ha fatto?” e poi scopri una storia meravigliosa, un partigiano, uno che si è dato agli altri, uno che ha fondato qualcosa, un imprenditore, uno che ha protetto, difeso, viaggiato… un militare morto a Pechino. Io, una volta, sono stato per caso a Termoli, c’è una targa dedicata a un marinaio italiano morto a Pechino nel 1900. Ma cosa ci faceva questo qui a Pechino nel 1900? Cercando, salta fuori una storia pazzesca. Sto dicendo che attorno a noi è pieno di storie, pieno di persone che vale la pena raccontare, a cominciare magari dai genitori, dai nonni“.
Per concludere, la emoziona ancora del motorsport?
“Sempre perché il motorsport è vita e morte, non c’è niente da fare. Anche se non sembra, anche con tutta la sicurezza, la calma, sì… però c’è dentro quel tema lì, no? Ti dimentichi, poi basta un attimo e succede un disastro. E quindi il fatto che un uomo decida di infilarsi in una vita così è, per me, sempre stato interessante. Mi ha sempre preoccupato, questo tema qui, anche se i piloti non ne parlano mai, perché se lo facessero andrebbero a casa, soprattutto quelli delle moto, che è ancora più pericoloso. Ma il fatto che la vita e la morte siano in gioco è un tema che riguarda l’esistenza, il mistero dell’esistenza, che riguarda tutti noi, no? E quindi sì, questo aspetto mi ha sempre colpito“.
“Gli ultimi cinque minuti prima di un Gran Premio, quando è il momento di andar via dalla pista… li vedi, no? Vedi i nervi del collo, vedi che c’è qualcosa di misterioso e straordinario che sta dentro quel mondo lì. Non è come fare il giornalista di calcio o di tennis, perché lì in mezzo c’è la morte, e la morte è un bel tema, no? Affascina, spaventa…Lei ha visto il film Ferrari? Ecco, quella cosa delle lettere prima delle Mille Miglia, che lasciavano… quella cosa è vera. Questi qui lasciavano una lettera, perché sapevano che potevano non tornare, infatti molte volte non lo facevano. Ma questa cosa è straordinaria, no? Poi non è che andavano piano, andavano a manetta. Io ho dei filmati, delle storie dei piloti degli anni ’60, ma anche prima, degli anni ’30, che sono veramente delle cose che ti fanno dire: cioè, 157 di media Brescia-Roma-Milano… Stirling Moss sulle strade del 1955 è una roba che non si può credere. Non ce la fai con una BMW sull’autostrada del sole a fare 157 di media e andare a Milano“.
Foto: Red Bull Italia, Formula 1, Pinterest.