Tra aspettative e inquietudini, per Lewis Hamilton la sfida in Ferrari si sta rivelando più complessa di quanto immaginasse
Sul finire dell’Ottocento, Arthur Conan Doyle — di ritorno come medico di bordo su una baleniera — aprì, senza troppa fortuna, uno studio medico nei pressi di Portsmouth. Data la carenza di clientela, per ingannare il tempo iniziò a scrivere racconti polizieschi, e dalla sua mente nel 1887 nacque Uno studio in rosso, il primo racconto in cui compare il personaggio di Sherlock Holmes.
In quel racconto, Holmes osserva come vi sia “un filo scarlatto dell’omicidio che attraversa l’intricata matassa della vita”, e come il suo compito sia quello di districarlo, isolarlo e svelarlo. Nel nostro caso, il filo non conduce a un delitto, bensì a un mistero, e il rosso è quello — inconfondibile — della Ferrari. La stagione di Lewis Hamilton finora è stata proprio questo: un enigma, una trama intricata, tessuta di aspettative disattese, tensioni interne e confronti serrati.

Un avvio stentato
È stata una giornata difficile, terribile, non so cosa dire. Probabilmente è solo colpa mia.
È da poco terminato il Gran Premio di Spagna. Hamilton ha chiuso sesto, solo grazie alla penalità inflitta a Max Verstappen, in seguito al contatto con Russell. Il sorpasso subito dalla Sauber di Hülkenberg è stata l’umiliazione definitiva, la pietra tombale su un altro weekend da dimenticare per il sette volte iridato. Nelle interviste post-gara è apparso scuro in volto, avvilito, quasi rassegnato all’idea che, in questa stagione, non vedrà la luce.
Le campagne mediatiche lanciate durante l’inverno, amplificate dal suo arrivo a Maranello, si sono rivelate un boomerang. La SF-25 è una monoposto ben al di sotto delle aspettative: priva della forza per lottare con i migliori e incapace di cambiare passo dopo un inizio opaco. Dal canto suo, Hamilton si trova a dover domare una creatura che gli sfugge di mano. Il periodo di ambientamento è doveroso e legittimo, soprattutto dopo tanti anni trascorsi al volante della Mercedes. Ma la rassegnazione mostrata a Barcellona lascia pensare che sotto ci sia qualcosa di più profondo.
Dubbi, frustrazioni e una questione di intesa
Sin dalla prima gara in calendario Hamilton non ha mai nascosto le difficoltà nel trovare il feeling con la monoposto. E nonostante gli sforzi per invertire la rotta, la situazione non è migliorata — anzi, è persino peggiorata. La vittoria nella sprint race di Shanghai è ormai un lontano ricordo: da allora, nessun segnale di ripresa. Il miglior risultato in gara resta ad oggi il quarto posto di Imola, magra consolazione in un susseguirsi di prestazioni deludenti.
Il confronto interno con Charles Leclerc è, al momento, impietoso. Il monegasco — forse nel miglior momento sportivo della sua carriera — ha dimostrato di saper convivere meglio con i grossi limiti della Ferrari, giocando con l’equilibrio fino a trovare una stabilità che gli ha permesso di conquistare il terzo podio stagionale proprio in Catalogna.
A tutto questo si aggiunge il tema dell’intesa tecnica. Le voci di un rapporto complicato con l’ingegnere di pista Riccardo Adami sono state smentite dallo stesso Hamilton, che le ha liquidate come sciocchezze. Ma il chiacchiericcio continuo non fa bene all’ambiente, soprattutto se l’obiettivo è ritrovare anche solo un minimo di continuità e serenità.
Chi è davvero Lewis Hamilton?
Resta da capire se e come la situazione evolverà. Non è ancora il momento di parlare di fallimento, ma i segnali non sono incoraggianti. Le parole e l’atteggiamento del numero 44 suggeriscono che i problemi non siano soltanto tecnici, ma anche psicologici e relazionali. Le tensioni accumulate nel corso delle settimane iniziano a pesare anche sul rendimento in pista.
La domanda da porsi, forse, è un’altra. Chi è davvero Lewis Hamilton oggi? Un campione in cerca dell’ultima consacrazione? Un uomo che ha bisogno di una nuova motivazione? O, semplicemente, un grande pilota che ha fatto una scommessa troppo ambiziosa?
Rimane ancora un mistero, che forse solo la pista potrà svelare. Una cosa è certa: la Ferrari è un luogo che può consacrare o consumare. E Hamilton, ora più che mai, lo sta imparando nel modo più tortuoso.
Foto: Scuderia Ferrari HP