La domenica di Charles Leclerc, rimasto solo a fissare il vuoto dopo due sorpassi incredibili.
La gigantografia di un momento sportivamente e umanamente disperato, il vento che soffia beffardo e testardo, quasi immobile di fronte alla sconsiderata velocità delle vetture che attraversano la pista. Una polaroid quasi grigia e con un’assenza di colori tale da far sembrare il plumbeo cielo olandese come la più incredibile delle esplosioni di colori. E’ lo sguardo perso di un ragazzo triste e amareggiato, conscio delle non possibilità e, allo stesso tempo, mai rassegnato all’ovvio. Il vento che soffia distante, accarezzando l’ala anteriore di una Ferrari parcheggiata nell’erba del circuito di Zandvoort, uscita di scena come accaduto alla sorella gemella una mezzoretta prima.

Charles Leclerc è solo nella sua solitudine più vera, solo più di quanto possa essere nell’abitacolo mentre sa di non essere più della partita, sa di non poter far drizzare peli ed emozioni con uno di quei sorpassi rifilati a Russell qualche giro prima, la gigantografia di un momento temporalmente non appartenente al presente ma al passato delle corse che furono.
Fissa il vuoto Charles, pensando a tantissime cose e pensando, forse, a quelle che avrebbero potuto essere se i pianeti si fossero allineati in maniera diversa, se la Ferrari (per una volta) avesse costruito una macchina degna di quel pilota che ha quell’ingombrante “0” nella casella dei Mondiali, roba da far accapponare la pelle o balzare da una sedia ferma sul pavimento.
Rimane lì fin quando la corsa non finisce, è lì nel mezzo come se la giostra di Zandvoort gli avesse riservato un posto d’onore, una prima fila cosi naturale da dove potersi godere uno spettacolo quasi triste, perché uno dei protagonisti dello spettacolo non ne fa più parte ma è spettatore. E’ un giostra che non funziona, la Ferrari; una di quelle che ha tanto caos e zone arrugginite, che non permettono il corretto funzionamento di un’opera resa gloriosa dalla sua storia, leggendaria e intramontabile con le sue vittorie e i suoi miti.
Charles Leclerc, ragazzo monegasco di quasi 28 anni ne fa parte pienamente: per il coraggio leonino e per il modo quasi “scozzese” di non cedere ai regni che passano, di non mollare mai un sorpasso subito e di attaccare nei punti impensabili, quelli che potrebbero far venire ripensamenti importanti anche alla fisica più moderna. E’ l’emozione di correre nella categoria automobilistica più famosa al mondo, è passione, è quel modo di vivere la Ferrari e le corse che riconciliano (in qualche modo) con i tempi andati, dei piloti rockstar e delle curve perse nell’erba e nei tratti difficili, accattivanti.
Leclerc incarna tutto ciò ma, questa volta, è di nuovo solo a fissare chi in gara c’è ancora, chi sta per prendersi un Mondiale ed ha quattro anni in meno di lui e le stesse vittorie, sta sentendo qualcosa in radio facendo finta che forse gli importi davvero dell’esito della gara. Corre con il cuore, quello stesso cuore Ferrari che lo aspetterà tra una settimana a Monza e quei tifosi che lo hanno visto vincere in modo leggendario l’anno scorso, resistendo al ritorno di chi potrebbe prendersi lo scettro alla fine di questa stagione.
La solitudine del numero 16 lascerà spazio al consueto bagno di folla che gli farà credere ancora nell’impossibile e magari lo realizzerà perché Charles Leclerc è in grado di farlo. Perché mentre fissa il vuoto sta già pensando a trecentomila modi modi per trasformarlo in un oceano rosso che arde e tifa Ferrari, sempre.