Divieto di circolazione moto

Moto più brutte di sempre, la classifica: presenti anche delle italiane

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Scritto da Francesca Testa

8 Settembre 2025

La motocicletta evoca da sempre libertà, stile e passione; tuttavia, nel corso della storia, non tutte le creazioni hanno incontrato il favore degli appassionati e dei critici. Tra modelli diventati icone, si sono affacciate anche moto dal design controverso, veri e propri esperimenti che hanno diviso l’opinione pubblica. Ecco una selezione delle 19 moto più discusse e “brutte” della storia, che hanno lasciato un’impronta più per l’estetica che per le prestazioni.

Tra le moto più emblematiche di questa categoria spicca l’Aprilia Motó 6.5 (1996), progetto nato dalla collaborazione con il designer Philippe Starck. Con le sue forme tondeggianti e insolite, la Motó si discostava nettamente dai canoni tradizionali, tanto da sembrare più un elettrodomestico che una moto sportiva. Prodotta in un numero compreso tra 4.000 e 6.000 esemplari, la Motó montava un motore monocilindrico Rotax da 650 cm³, con una potenza di circa 43 CV pensata per piloti meno esperti. Nonostante l’innovazione tecnica e stilistica, il modello non fu mai pienamente accettato dal mercato, risultando “troppo avanti” per i gusti dell’epoca e finendo per essere ritirato dopo pochi anni.

Un altro esempio emblematico è la BFG 1300 (1982), che con il motore derivato dalla Citroën GS e un peso superiore ai 270 kg sembrava più un’auto su due ruote che una moto. Il progetto, seppur funzionale, mancava di appeal estetico e non riuscì a conquistare il pubblico.

Anche la Bimota DB3 Mantra (1995), con linee audaci disegnate da Sacha Lakic, suscitò reazioni contrastanti: più pesante e meno elegante di quanto previsto, non convinse i puristi del marchio.

Quando l’aerodinamica e la funzionalità si scontrano con l’estetica

La ricerca della massima efficienza aerodinamica ha dato vita a modelli come la BMW K1 (1988), che con il suo carenaggio imponente e le tinte sgargianti fu subito oggetto di critiche per il look “eccessivo”. Pur essendo sviluppata in galleria del vento, la K1 fu considerata memorabile ma tutt’altro che bella.

La BMW R1200 ST (2005) presentava un frontale così particolare da far nascere voci secondo cui fosse il risultato di una scommessa interna tra i designer. Il boxer collaudato sotto la carenatura non riuscì a far dimenticare un design che ancora oggi divide gli appassionati.

Nel segmento delle “bestie” da strada, la Boss Hoss BH-3 LS3 (1990) si distingue per il gigantesco motore V8 Chevrolet da 6 litri e oltre 500 kg di peso. Impressionante a livello di performance e rumore, ma decisamente poco elegante.

La Buell 1125CR (2008) rappresenta un’altra sfida stilistica, con un frontale che alcuni critici hanno paragonato al muso di un roditore, dimostrando come l’innovazione tecnica non sempre vada di pari passo con il successo estetico.

Tra i modelli italiani più discussi si annovera la Ducati Paso 750 (1986), prima moto prodotta da Ducati sotto la gestione Cagiva e disegnata da Massimo Tamburini. Caratterizzata da una carenatura integrale e da un motore bicilindrico Pantah di 748 cm³, la Paso rappresentava una novità nel panorama Ducati, con caratteristiche tecniche avanzate per l’epoca. Nonostante ciò, l’adozione del carburatore automobilistico e problemi di affidabilità penalizzarono il modello, che non riuscì a conquistare i tradizionalisti del marchio.

La Ducati 999 (2003), disegnata da Pierre Terblanche, vinse in pista ma non tra i fan, a causa delle linee spigolose e dei fari verticali che alienarono i puristi. Anche in questo caso, la controversia tra innovazione e tradizione si fece sentire.

Visioni futuristiche e scommesse stilistiche non sempre vincenti

La Honda NM4 Vultus (2014) sembra uscita da un film di fantascienza, un mix tra scooter, custom e navicella spaziale che risultò eccessivo per il mercato motociclistico.

Anche la Honda Pacific Coast PC800 (1989), pratica e funzionale, fu giudicata più una moto per pendolari senza carattere, avvicinandosi troppo all’estetica degli scooter.

La Kawasaki Versys 1000 (2012), con i suoi fari sovrapposti, scatenò un gran dibattito tra gli appassionati, al punto che nel 2015 si rese necessario un restyling per correggere il design.

La KTM 690 SM (2007), nonostante la leggerezza e la grinta, vide il suo “becco” e le linee spigolose dividere anche i fan più fedeli.

Colossi meccanici e design discutibile

La Münch Mammuth (1966), con un motore Opel da 996 cc e 380 kg di peso, era più un elefante meccanico che una moto armoniosa, mentre la MZ 1000 SP (2005) fu giudicata esteticamente “spaventosa” nonostante le buone prestazioni.

Design azzardati che sono diventati cult nel tempo

Alcuni modelli che all’inizio furono criticati per la loro originalità estrema sono oggi veri e propri cult, come la Suzuki GSX1100S Katana (1981), riconosciuta per il suo taglio futuristico e spigoloso, e la Voxan VX10 (2009), con doppi fari e codone sdoppiato, ritirata dal mercato dopo soli due anni.

La Venturi Wattman (2013), moto elettrica francese da 350 kg e 200 CV, è stata innovativa ma sproporzionata nelle forme.

Infine, la versatile ma dal design “funereo” Yamaha 900 TDM (2002) guadagnò soprannomi poco lusinghieri come “testa di morto”.

Questa classifica senza filtri mostra come l’equilibrio tra innovazione, funzionalità e gusto estetico non sia mai scontato nel mondo delle due ruote, dove anche le forme più bizzarre diventano parte della storia motociclistica.

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