La questione della responsabilità in caso di investimento di un pedone in autostrada continua a suscitare dibattiti nella giurisprudenza italiana, con particolare attenzione al bilanciamento tra dovere di prudenza del conducente e prevedibilità del comportamento del pedone. Recenti pronunce della Corte di Cassazione offrono chiarimenti fondamentali in merito, ribadendo principi cardine sul tema.
Con la sentenza n. 16851 del 4 maggio 2021, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un investimento avvenuto su una strada extraurbana, con la vittima che camminava al centro della carreggiata, in orario notturno, indossando abiti scuri e priva di giubbotto catarifrangente. Nel giudizio di rinvio alla Corte di Appello di Roma, era stato accertato che il pedone aveva violato il divieto di circolare a piedi sull’autostrada, previsto dall’art. 75, comma 6, del Codice della Strada.
La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità penale del conducente, riducendo la pena rispetto alla precedente sentenza di primo grado e mantenendo la condanna al risarcimento del danno per i familiari della vittima. Il ricorso in Cassazione proposto dal conducente si basava su cinque motivi, fra cui la presunta violazione degli articoli 140 e 141 del Codice della Strada, relativi alla responsabilità del conducente in caso di investimento.
Il principio di affidamento e la prevedibilità della condotta del pedone
Uno dei punti chiave affrontati dalla Cassazione riguarda il principio di affidamento, ovvero la presunzione che chi guida possa fare affidamento sull’osservanza delle norme da parte degli altri utenti della strada. La difesa del conducente aveva sostenuto che la presenza del pedone sulla carreggiata fosse imprevedibile e che quindi non poteva essere ritenuto responsabile dell’incidente.
La Corte ha però sottolineato che, in casi come questo, il comportamento imprudente del pedone è da valutarsi come prevedibile e quindi evitabile dal conducente. Ciò perché, anche se il pedone camminava in violazione delle norme, il conducente ha l’obbligo di mantenere un’ispezione costante della strada, soprattutto in condizioni di scarsa illuminazione e orario notturno, e di adeguare la propria condotta.
Altro elemento rilevante riguarda la valutazione della visibilità garantita dai fari anabbaglianti del veicolo. La difesa aveva contestato la validità della consulenza tecnica che attestava la possibilità di vedere il pedone a circa 70 metri, sostenendo che le norme europee citate fossero riferite solo all’inclinazione del fascio luminoso e non alla distanza di proiezione.
La Corte ha però ritenuto congrua la motivazione della Corte d’Appello, che aveva basato la valutazione sul campo visivo effettivamente garantito dai fari in uso, elemento essenziale per stabilire se il conducente potesse avvistare in tempo utile la presenza del pedone sulla carreggiata.
Un ulteriore contributo fondamentale alla questione è arrivato da una sentenza più recente della Cassazione, che ha assolto un automobilista coinvolto in un investimento notturno su autostrada, sottolineando la difficoltà per il conducente di prevedere e gestire la presenza di un pedone in un contesto dove camminare è vietato e altamente pericoloso.
Nel caso in esame, la vittima, dopo una lite familiare, aveva abbandonato la propria auto e si era messa a camminare nel centro della carreggiata dell’autostrada A26. L’automobilista, rispettando i limiti di velocità (circa 105-110 km/h su un tratto con limite massimo di 130 km/h), non ha potuto evitare l’impatto.
Gli ermellini hanno chiarito che è inesigibile dal conducente un livello di attenzione tale da scandagliare ogni angolo della strada alla ricerca di pedoni, la cui presenza in autostrada è vietata e quindi imprevedibile. Inoltre, l’uso dei fari abbaglianti sarebbe stato non solo vietato ma potenzialmente pericoloso per gli altri automobilisti, e pertanto il conducente non può essergli imputata colpa per non averli usati.
La sentenza ha evidenziato come la circolazione autostradale sia caratterizzata dalla velocità elevata e dalla necessità di mantenere un flusso regolare e sicuro. Imporre al conducente di rallentare drasticamente al semplice avvistamento di un pedone comprometterebbe la sicurezza stessa della circolazione.
Aspetti risarcitori e provvisionali
Sul fronte del risarcimento del danno, la Corte ha ribadito un principio giurisprudenziale consolidato: non è necessario che la parte civile provi la sussistenza effettiva del danno e il nesso causale con l’illecito per ottenere una condanna generica al risarcimento. Tale condanna rappresenta una “declaratoria juris” che accerta la responsabilità dell’imputato, mentre la quantificazione del danno è rimessa al giudice di merito.
La Corte ha inoltre confermato l’inammissibilità di impugnare in Cassazione la quantificazione della provvisionale stabilita in sede penale, trattandosi di una decisione discrezionale e non soggetta a revisione di legittimità.