“Motorsport is dangerous”: quando lo sport più bello al mondo diventa fatale

di Stefano Zambroni

“Obviously Jules is still there and needs to be remembered”: così Charles Leclerc ha voluto dedicare al suo amico Jules Bianchi, a dieci anni dall’incidente che fermò troppo presto la sua corsa. 

“Motorsport is dangerous”. E lo sappiamo. Suzuka non è una gara come le altre, non lo è da dieci anni a questa parte. Qui il tempo sembra essersi fermato a quel 5 ottobre 2014, a quel tragico incidente che costò la vita a un giovane ragazzo. Da allora tutto è cambiato. Da allora, al Gran Premio del Giappone prende parte un ventunesimo pilota: Jules Bianchi. Da allora, a rendere speciale il circuito di Suzuka non sono i paesaggi né la cultura giapponese, bensì lo spirito di Jules che aleggia tra le curve della pista, tra i box del paddock, tra gli sguardi dei piloti. 

Nessuno sembra riuscire a dimenticare quanto successe in quella domenica. Non i piloti, che durante la conferenza stampa di quest’anno sono tornati a parlare di quel ragazzo dal viso dolce e dagli occhi malinconici. Non Charles, lui che era tanto legato a Jules, e che in questa occasione ha voluto portare in pista con sé il numero 17.

"Motorsport is dangerous": un'immagine creata al computer che raffigura Charles Leclerc e Jules Bianchi come compagni di squadra
“Motorsport is dangerous”: un’immagine creata al computer che raffigura Charles Leclerc e Jules Bianchi come compagni di squadra

“Quel giorno abbiamo imparato molto sulla sicurezza. Purtroppo sembra quasi che alcune volte queste cose debbano accadere. Non sono piacevoli da accettare, ma è così che pare funzionare la vita”. Max Verstappen non potrebbe avere più ragione. Il motorsport è pericoloso. Tutti ne sono consapevoli. I piloti in primis sono consci del fatto che ogni volta che salgono sulla propria monoposto potrebbero non fare ritorno al box. Eppure, è molto facile dimenticarsene.

E’ fin troppo semplice, per i team così come per i piloti, scordarsi del rischio che stanno correndo e pretendere di star facendo uno sport come un altro, pretendere che in gioco non ci sia nient’altro che la vittoria. E’ quando succedono episodi come l’incidente a Jules Bianchi che, improvvisamente, tutti sembrano ricordarsi come in gioco ci sia molto più della vittoria o del titolo mondiale: in gioco c’è la vita dei piloti

“Motorsport is dangerous”, da Roland a Dilano…

Basti pensare ad Ayrton Senna e a come, dopo la sua morte, l’intero mondo dei motori rimase paralizzato. Era accaduto che il pilota del momento, uno dei più grandi di tutti i tempi, perdesse la vita in gara. E se era capitato a lui, lui che era considerato al pari di un eroe, di una leggenda immortale, allora poteva capitare a chiunque. Allora bisognava ricordarsi, ancora una volta, che i piloti, in ogni curva e in ogni rettilineo, correvano con la vita appesa a un filo tanto sottile da potersi spezzare in qualsiasi momento.

Purtroppo, sono tanti i piloti i cui nomi sono stati aggiunti alla lista di coloro che hanno perso la vita correndo: Gilles Villeneuve, Roland Ratzenberger, Ayrton Senna, Jules Bianchi, Anthoine Hubert e Dilano Van’t Hoff sono solo alcuni esempi. Il compito di chi oggi lavora nel motorsport è quello di non permettere che la loro memoria venga dimenticata. Nonostante non sia possibile riavvolgere il nastro del tempo che scorre e ritornare indietro per poter cambiare il corso degli eventi, è possibile, anzi è doveroso, continuare a correre in loro memoria. Continuare a far vivere quello sport che a loro tanto piaceva, quello sport che era la loro passione, a cui si erano dedicati una vita intera. Quello stesso sport, quella stessa passione, che gli è costata la vita stessa. 

Ci si chiede spesso cosa sarebbe accaduto se le cose fossero andate diversamente, cosa sarebbe accaduto se quel puntone della sospensione non fosse entrato nel casco di Ayrton, cosa sarebbe accaduto se le monoposto di Anthoine e di Dilano non fossero state colpite da quelle degli altri piloti. Che cosa sarebbe accaduto se la monoposto di Jules non fosse finita contro quella gru in pista. Purtroppo non ci è dato saperlo. L’unica cosa che possiamo fare è mantenere viva la memoria di questi piloti che saranno sempre “one lap ahead of us”.

Foto: Scuderia Ferrari

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