Storia dei primi anni della Ferrari in Formula 1, dalla sua nascita al quinto titolo di Juan Manuel Fangio passando per il primo successo nella massima categoria automobilistica.
Siamo nel secondo dopoguerra e il mondo ha bisogno di reagire, di guardarsi in faccia e lasciarsi alle spalle una delle più gravi brutture della storia dell’umanità. C’è poco di tutto, quasi nulla, ma c’è la voglia di ripartire e di creare basi solide anche quando le basi, per forza di cose, sono state letteralmente strappate dalla terraferma.
C’è la voglia e questo non è un dettaglio, il mondo industriale freme e, nel giro di pochi anni, sarà protagonista del famoso “boom economico” che travolgerà l’Italia intera, fino ad inghiottirla con le sue conseguenze trent’anni più tardi. In realtà, dal punto di vista industriale e, nel dettaglio, nel settore dell’automobile, il Bel Paese non è affatto messo male. La nascita di marchi destinati a diventare immortali sono già fioriti da un po’: Fiat, Alfa Romeo e Maserati sono già all’avanguardia mentre, di li a poco, nascerà anche Lamborghini.
L’inizio della leggenda: nasce la Ferrari
Alcuni di questi marchi si sono già affacciati al mondo del motorsport, in totale sviluppo a partire dai primi anni venti con varie gare (di resistenza e sopravvivenza) in giro per l’Europa. Da una costola dell’Alfa Romeo, però, spunta qualcosa che c’entra parecchio con Enzo Ferrari e la nascita dell’omonimo marchio. Il 20 maggio del 1928, Enzo vince il 2° Circuito di Modena sempre al volante di un’Alfa Romeo, e nel 1929 fonda a Modena la “Scuderia Ferrari”, destinata a far correre i propri soci.
Dieci anni più tardi Enzo Ferrari si staccherà dall’Alfa Romeo cominciando a produrre auto proprie: siamo nel 1939 e la prima auto prodotta sarà la 815, che parteciperà alla Mille Miglia dell’anno successivo. Durante il secondo conflitto bellico gli stabilimenti della Ferrari si spostano a Maranello e nel 1947, cioè all’inizio del nostro racconto, viene ufficialmente prodotta la 125S, la prima auto Ferrari ad uscire da Via Abetone. Siamo nella storia.
Il colore predominante è il rosso ma solamente per un fatto geografico. Nelle prime corse automobilistiche, infatti, le varie nazioni venivano divise con dei colori ben definiti e i marchi italiani (come Alfa, Maserati e Ferrari) avevano il rosso mentre a quelle tedesche, ad esempio, spettava il bianco o l’argento e via dicendo. Un rosso che scavalcherà il giallo, presente nello storico marchio e nel logo della città di Modena, e che diventerà leggenda. Ma torniamo al 1950.
“Date a un bambino un foglio di carta, dei colori e chiedetegli di disegnare un’automobile: sicuramente la farà rossa“ – Enzo Ferrari
La prima partecipazione e la prima vittoria in Formula 1
Il mondo del motorsport vuole ripartire e per farlo ha bisogno di un’organizzazione mirata, lontana dalle corse sporadiche e protagonista con un calendario ed una vera e propria competizione, nasce la Formula 1. Nella sua prima edizione verranno inseriti sei Gran Premi Europei ed uno nella leggendaria Indianapolis, per avvicinare due mondi cosi diversi e distanti. Il 21 maggio del 1950, giorno della seconda gara in programma a Monaco, la Ferrari fa il suo esordio ufficiale in F1.
Enzo Ferrari poterà tre 125 sovralimentate pilotate da Alberto Ascari, Luigi Villoresi e Raymond Sommer. La gara è un riassunto delle corse anni 50′: 100 giri di corsa per un totale di 3 ore di gara, vittoria e monopolio di Fangio mentre le Ferrari di Ascari e Sommer chiuderanno, rispettivamente, al secondo e al quarto posto. Villoresi sarà costretto al ritiro. E’ l’inizio della leggenda: Enzo Ferrari chiederà ai suoi meccanici e ai suoi ingegneri un lavoro incredibile per potenziare i motori delle sue vetture e renderle competitive.
Il gioco riesce e nel 1951, esattamente il 14 luglio, la Ferrari vince il suo primo Gran Premio di Formula 1 sul leggendario circuito di Silverstone con l’argentino Gonzales che, dopo essere partito in pole position, dominò la gara precedendo di 50 secondi il suo connazionale Fangio. Il primo champagne non si dimentica mai, come non si dimenticano le lacrime di gioia e di fatica per un lavoro durato un anno ma cominciato nella mente di Enzo circa un decennio prima. I novanta giri di Silverstone, completati in due ore e quarantadue minuti, restano scolpiti nei musei Ferrari.
Quella gara, storica per tanti motivi, poteva essere vinta dal caposquadra Alberto Ascari che, con grande signorilità, si rifiutò di guidare la macchina del compagno visto che la sua aveva avuto un problema al cambio. José Froilan Gonzales, detto “El Cabezon” per via delle dimensioni importanti del suo capo, guidava a gomiti larghi seguendo le traiettorie della vettura come un attuale pilota di MotoGP e questo faceva impazzire Enzo Ferrari.
I due Mondiali consecutivi di Alberto Ascari
Nel giro di due soli anni la Ferrari diventa un punto di riferimento all’interno del mondo della Formula 1 e nel 1952 raccoglierà i suoi primi frutti, il campionato del mondo vinto da Alberto Ascari. Siamo a Monza e il pilota italiano, dopo un annata letteralmente dominata, vince la sua sesta gara consecutiva conquistando il titolo. Una stagione senza rivali per la Rossa e per Ascari, autore di cinque pole position e sei giri veloci in otto gare disputate.
Il 1952 è un anno di gloria per la Ferrari che in F1 schiera il tridente formato da Alberto Ascari, Nino Farina e Piero Taruffi. Enzo Ferrari, nella stessa annata, fece costruire la 375, vettura destinata a correre la 500 Miglia di Indianapolis (corsa a cui solitamente non partecipavano costruttori europei) per la prima ed unica volta nella sua storia con lo stesso Ascari alla guida. Piccola postilla, nello stesso anno la Rossa vincerà anche la Mille Miglia.
La storia si ripete anche nel 1953 con Alberto Ascari che vince cinque gare su otto portando a casa il secondo titolo mondiale piloti, la Ferrari ne vincerà sette lasciando le briciole agli avversari. Una di queste, però, verrà raccolta da un certo Juan Manuel Fangio, argentino di origini abruzzesi, che, nei due anni successivi, vincerà la sua seconda e terza corona alla guida della Mercedes-Benz dopo aver vinto il Mondiale del 1951.
1956: Juan Manuel Fangio vince il Mondiale con la Ferrari
Enzo Ferrari vuole quell’asso del volante e, alla vigilia del campionato del 1956, l’accordo si troverà: Juan Manuel Fangio, classe 1911, guiderà per la Ferrari. La stagione comincia con alti e bassi per via del ruolo di prima guida, in bilico tra la fama dell’argentino e la preponderanza di Luigi Musso. Il 1956, inoltre, è un anno strano e funesto per Enzo Ferrari che il 30 giugno perderà suo figlio Dino a causa della distrofia muscolare.
Un piccolo passo indietro, il 26 luglio del 1955 la Ferrari riceve nel suo cortile di Maranello tutti i pezzi del marchio Lancia, ritiratasi dalle corse a seguito della morta di Alberto Ascari e per problemi di natura economica. In quell’anno di F1, dunque, la denominazione della Rossa sarà Lancia-Ferrari. Ma torniamo al 1956 quando Fangio vince due delle ultime tre gare (Inghilterra e Germania) scavalcando Moss in classifica e vincendo il suo quarto titolo mondiale, il terzo consecutivo ed il primo con la Ferrari.
Vincerà il titolo a Monza, in una gara che è leggenda: Fangio ottiene la pole position ma in gara si rompe il braccetto dello sterzo. All’epoca c’era la possibilità di cedere la propria macchina al compagno ma Luigi Musso si rifiuta di prestare la sua D50 all’argentino, poco più tardi l’italiano sarà costretto al ritiro. Ma la bellezza di questo sport sta negli uomini ed uno di questi risponde al nome di Peter Collins, all’epoca ventiquattrenne, che si sta giocando il titolo insieme a Fangio e Moss. Vede l’argentino al muretto e senza pensarci su gli cede la sua auto rinunciando al sogno Mondiale. L’argentino-abruzzese chiuderà secondo e sarà storia.
Il destino sarà beffardo per Peter Collins perché, due anni più tardi, morirà a bordo della sua Ferrari 246 F1 sul circuito del Nurburgring dopo essersi cappottato più volte rompendosi il cranio. Resterà nella storia e nella leggenda di questo sport. Fangio, vincitore del quarto titolo all’età di 45 anni, saluterà la Ferrari dopo un solo anno e nel 1957 vincerà il suo quinto ed ultimo mondiale alla guida della Maserati.
Mike Howthorn, l’inglese dalla giacca verde
Nella storia entra in modo eccentrico e prepotente un giovane inglese, dal modo di fare anticonformista e che in gara usa indossare una giacca verde corta, abbinata al papillon, ed una camicia bianca. Di nome fa Mike e di cognome fa Hawthorn, vincerà il Mondiale del 1958 a bordo della Ferrari 246 F1. Ciuffo biondo alla James Dean e casco verde, l’unico a poter dare del filo da torcere a Juan Manuel Fangio.
L’unico ad osare sfidarlo in quelle sfide che riguardano solo i piloti ed il loro dannato ego, come percorrere in pieno la curva Gueux a Reims. E’ nato per le corse: nel 53′, 54′, 57′ e 58′ contribuisce alla vittoria dei titoli sport della Rossa di Maranello, vince la 24 ore di Spa nel 1953 e l’anno successivo fa sua una delle corse più sportivamente atroci che esistano al mondo, il Tourist Trophy. Enzo Ferrari, che da sempre ha avuto un certo fiuto per i piloti di talento, lo ingaggia nel 52′ e l’anno dopo vincerà la sua prima gara in F1.
E’ eccentrico anche nel farsi desiderare come il telegramma inviato a Enzo Ferrari: “I’m ready if you are”. Lo sarà e nel 1958, grazie alla vittoria di Reims e ai cinque secondi posti, vincerà il Mondiale. La gioia dura solo un attimo perché pochi mesi dopo aver annunciato il suo ritiro dalle corse, il 22 gennaio 1959, morirà a seguito di un incidente a bordo di una Jaguar Mk1 3.4. La morte del britannico sarà sempre avvolta dal mistero e circondata da mille voci, dalla presunta gara illegale al suo problema al rene, asportatogli nel 1955. Sarà anche lui leggenda, in ogni caso.
Gli albori della Ferrari in Formula 1 rappresentano l’inizio di una leggenda da narrare inevitabilmente, un serie di racconti su miti ed eroi che hanno reso questo marchio e questo sport indelebili e passionali. Contro le leggi della fisica e contro la paura, avvolti da quel mantello di velocità e immortalità che soli i piloti hanno. E’ questo ciò che ha reso, rende e renderà la Ferrari un’icona leggendaria.
Foto: Scuderia Ferrari