L’incidente di Luca Salvadori torna sulle prime pagine dei quotidiani sportivi, dopo la condanna del padre Maurizio. E lo spirito di quest’uomo è da ammirare ed imitare
L’Italia del motorsport, ancora una volta, si ferma di fronte alle parole di Maurizio Salvadori. Una fredda telecamera riesce a trasmettere anche le più piccole emozioni di un padre che ha perso il proprio figlio. E no, come detto da Maurizio, Luca non era né uno sprovveduto né un suicida.
Parole posate, precise, mirate all’obiettivo. È un uomo che da una vita vive di motorsport, che conosce bene questo mondo, anche ai suoi livelli più alti. La condanna agli organizzatori è chiara e diretta, senza giri di parole o sfoghi che, anche a distanza di mesi, sarebbero assolutamente legittimi.
Luca Salvadori non giocava con la vita, non sfiorava i limiti cercando di superarli, come da sua stessa ammissione. “Tranquillo papà, ho 32 anni e ho dei progetti di vita. In queste gare corro all’80%”, aveva raccontato al padre Maurizio in una delle loro ultime conversazioni. E la verità è che chi conosce questo mondo sa benissimo (come detto anche nel video) che correre all’80% significa non essere mai al limite. Mai.
Non è un caso, non è sfortuna la sua morte. O meglio, probabilmente lo è anche, perché difficilmente in moto si verificano incidenti di questo genere. Personalmente in questi mesi mi sono sempre chiesto come potesse essere possibile che, in un incidente tra due piloti ravvicinati, muoia il pilota dietro. Generalmente è molto più “classico”, come dinamica, vedere che il pilota davanti subisca i danni più seri, spesso investito da chi segue.
Tre giorni fa, però, sono uscite le immagini in 3D. E, senza girarci troppo attorno, è inaccettabile che in una gara del genere ci siano state così tante dimenticanze, negligenze, errori e noncuranze. Protezioni ad aria non omologate, non fissate e adatte a corse ciclistiche; barriere posizionate perpendicolarmente, e non parallelamente, alla pista; e balle di fieno pressate meccanicamente (vietate dal regolamento dal 2018). Tutto questo in una curva dove, in percorrenza, si raggiungono i 250 km/h.
E poi i dialoghi registrati dalla telecamera di Luca, la quale non ha smesso di funzionare. Come raccontato dal padre, nei dialoghi non si sentono preoccupazioni per le condizioni del pilota, ma piuttosto emerge la priorità di ripristinare in fretta la pista, perché “The show must go on”.
Anche con un ragazzo di 32 anni gravemente ferito a terra.
Sommiamo tutto e traiamo due conclusioni. La prima è che, riprendendo quanto detto dal padre Maurizio, se fossero state seguite le regole internazionali, Luca Salvadori non sarebbe morto. È una frase forte, dura, ma purtroppo reale. È per questo motivo che la famiglia sta portando avanti una causa in Germania, nella speranza che non si ripeta mai più quanto accaduto il 14 settembre 2024.
La seconda riguarda la dignità e la compostezza di un padre così addolorato: non solo sono da ammirare, ma probabilmente anche da imitare. In un mondo sempre più frenetico, la pacatezza di Maurizio fa rumore. In un mondo sempre più in modalità 2x, Maurizio risponde con un video di venti minuti: nessuno spettatore però, come scritto da Cosimo Curatola, ha pensato di skippare o velocizzare il filmato.
Infine, una nota di margine. Considerato che gli ultimi due post tra i nostri vari canali social hanno raggiunto quasi 2 milioni di visualizzazioni, ci sembra doveroso rispondere a una critica che in molti ci hanno rivolto: quella di “dover lasciar in pace Luca”, condannando la nostra volontà redazionale di riportare le immagini della moto dopo l’incidente.
Crediamo però che, rispettando il fatto che ogni persona viva il lutto a modo proprio, continuare a far leggere il suo nome sui social, un mondo che lui amava, sia il modo migliore di ricordarlo e di tramandare la sua storia, senza snaturare il nostro spirito di cronaca.
Foto: Luca Salvadori